Una presenza da oltre cinquecento anni

Mi dor le dor, “di generazione in generazione”: questa citazione, tratta da Isaia (34:10), potrebbe riassumere uno degli ideali dell’ebraismo che da sempre ha contraddistinto le famiglie appartenenti alle comunità sparse ai quattro angoli della terra

La Comunità ebraica di Casale Monferrato è una congregazione ortodossa tradizionale, affiliata all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), nonché un importante punto di riferimento, istituzionale e culturale, per l’ebraismo italiano.

Le prime certezze della presenza ebraica nel Monferrato risalgono al 1438, con la concessione di un Cimiterum Judeorum, appezzamento di terreno destinato ad uso cimiteriale per il primo piccolo nucleo monferrino e si è poi rafforzata numericamente nel tempo fino al 1492, anno della grande espulsione degli ebrei dalla Spagna e di arrivi in Italia e in Piemonte. Questa presenza relativamente tarda è diversa da altri nuclei ebraici vissuti in Piemonte perché Casale e il Marchesato di Monferrato nascono da una storia politica indipendente da quella piemontese dei Savoia, nella cui orbita entreranno solo nel XVIII secolo.

Fra i primi documenti troviamo la già citata concessione di un terreno per sepoltura del 1438, un contratto di locazione di immobile firmato il 17 settembre 1595 con annesso l’affidamento dell’edificio a un custode ebreo e, nei primi mesi del 1606 la testimonianza della costruzione di un forno pubblico per il pane azzimo.

Gli ebrei nel Monferrato vissero senza problemi sotto la dinastia dei Paleologi fino al 1533, dei Gonzaga duchi di Mantova dal 1536 al 1708. Nel Monferrato furono “tollerati” e poterono godere di numerose “concessioni” ma sapevano bene che la loro posizione era sempre in bilico tra la condizione di straniero e quella di suddito, con sbilanciamenti da una parte o dall’altra, a seconda delle epoche e dei regnanti. Tra il XVI ed il XVII secolo il Monferrato fu sconvolto da continue guerre che coinvolsero anche la popolazione ebraica la quale, per la concessione di vivere in città, era costretta a pagare ingenti somme di denaro, utilizzate anche per finanziare le guerre. All’interno della città gli ebrei erano soggetti a molte limitazioni: in particolare, durante la Settimana Santa e le processioni religiose era loro proibito camminare in alcune strade. Inoltre anche a Casale vigeva l’obbligo di portare un simbolo distintivo, una fascia gialla al braccio o alla mano destra, da cui potevano separarsi solo quando viaggiavano, il giorno della partenza e quello dell’arrivo.

Nel 1611 gli ebrei furono accusati ufficialmente di omicidio rituale, tuttavia, a differenza di quanto accade altrove, questa calunnia non ebbe un epilogo tragico e gli ebrei furono completamente assolti.

Gli ebrei di Casale praticavano prevalentemente il prestito su pegno. Gli archivi della comunità contengono molti documenti interessanti in merito alle regole che codificavano il pegno, i tassi d’interesse (non superiori al 25%) che potevano essere richiesti dal creditore e il risarcimento dei danni al debitore in caso di distruzione di quanto dato in pegno, per cause di forza maggiore, quali razzie o incendi, o per cause più banali e colpose, come topi o tarli.

Gli ebrei del Monferrato si dedicavano al commercio, anche su vasta scala. Jona Clava e Salomone Jona, ad esempio, nel 1640 divennero i fornitori di grano di tutta Casale, ampliarono poi le proprie attività commerciando anche in gioielli, spezie ed ottennero perfino il monopolio cittadino sulla vendita di carte da gioco.

Successivamente gli ebrei intrapresero il commercio di piombo, riso e sale. Le loro attività raggiunsero l’apice nel 1643, quando si aggiudicarono la fornitura di cereali per tutto l’esercito francese a Casale, il comandante generale delle truppe divenne loro socio e ottennero un contratto per la costruzione di alcune fortificazioni dopo aver prestato del denaro agli ufficiali della guarnigione senza chiedere interessi.

Nel 1708 il Monferrato fu annesso ai domini dei Savoia e la condizione degli ebrei peggiorò immediatamente. La prima disposizione, che non fu seguita da tutti gli ebrei, riguardò il trasferimento dell’intera popolazione ebraica nel ghetto, un’unica zona urbana, a partire dal 1724. Per il ghetto si scelse un ampio quartiere di Casale dove risiedevano già molti ebrei. La Sinagoga era situata al centro del quartiere, in posizione protetta, nel vicolo che oggi si chiama Salomone Olper (n. nel 1811 m. 1877 rabbino a Casale dal 1857 al 1859), l quartiere scelto, pur essendo vasto, ben presto divenne sovraffollato: nel 1761 vivevano nel ghetto di Casale Monferrato 136 famiglie, per un totale di 673 persone. Era il ghetto più popolato del Piemonte dopo quello di Torino.

La Rivoluzione Francese e l’occupazione napoleonica (1789-1814) portarono una temporanea uguaglianza e le porte del ghetto furono eliminate; ripristinate nuovamente durante la Restaurazione, caddero definitivamente nel 1848, quando re Carlo Alberto conferì agli ebrei del Regno di Savoia i diritti civili. All’epoca gli ebrei di Casale Monferrato erano 850.

Il Decreto di Emancipazione promulgato da Carlo Alberto generò nella Comunità Ebraica di Casale Monferrato grande riconoscenza. Tra i biografi della Comunità Leone Ottolenghi, nel suo saggio “Brevi cenni sugli Israeliti casalesi e sul loro sacro oratorio” pubblicato nel 1866, racconta la situazione della Comunità casalese quando ancor forte in lui è l’emozione per l’emancipazione. Spigolando tra le righe, leggiamo “Chi può descrivere l’entusiasmo con cui questa notizia fu accolta? Tutta la Comunità era in moto. Era un andare, un venire, uno stringersi, un rallegrarsi” e poco più avanti “I nostri fratelli cattolici presero viva parte alla nostra esultanza ed era invero commovente lo scambio di affetti e di generose idee che in allora si ammiravano”.
Ottolenghi loda poi le iniziative intraprese per integrare la Comunità ebraica con il resto della cittadinanza: dalla creazione di una Società di Incoraggiamento alle Arti e Mestieri, alla riforma dell’Opera di Beneficenza per aiutare i malati, fino all’ipotesi di costruzione di un ospedale per malati ebrei.

Presto la comunità iniziò a ridursi a causa del fenomeno generale dell’urbanizzazione e della mobilità verso i grandi centri, che portò i casalesi, quindi anche gli ebrei, a trasferirsi altrove, spesso a Torino e Milano.

Nel 1931 La comunità contava 112 persone e durante la Shoah subì durissimi colpi: furono deportate 59 persone nate a Casale, donne, uomini, e alcuni bambini, i cui nomi sono restituiti incisi a perenne ricordo nel memoriale dedicato, posto all’ingresso del complesso museale, insieme ai nomi dei 4 ebrei deportati di Moncalvo.

La Comunità Ebraica è in parte sopravvissuta, anche grazie alle azioni dei Giusti fra le Nazioni, ed ha riaperto la Sinagoga restaurata e dichiarata Monumento Nazionale dalla Soprintendenza, primo bene in Italia non di proprietà dello Stato Italiano o Vaticano, nel 1969 e ha dato vita al complesso museale, oggi il più visitato della Provincia di Alessandria, soprattutto dalle scuole, confermando l’importante funzione formativa svolta.

Nonostante le comunità ebraiche del Monferrato abbiano, nel tempo, conosciuto un fiorente sviluppo, ad oggi la presenza ebraica in questi territori è esigua ed è ridotta ai circa 60 iscritti della Comunità ebraica di Casale Monferrato che è retta da un Consiglio di Amministrazione composto da tre membri, che promuove le attività nella Sinagoga e cura i beni comunitari. Il Consiglio collabora con il Comitato Direttivo del complesso museale per la conservazione dei beni e la curatela di mostre e attività espositive.

Oggi la sinagoga non viene utilizzata con regolarità per le funzioni religiose. Tuttavia, vengono celebrati alcuni Sabati e le principali festività, in particolare il Seder di Pesach, Chanukkah e Yom Kippur, in un’atmosfera speciale di raccoglimento, gioia e condivisione, oltre a matrimoni, Bar Mitzvah e Bat Mitzvah per le donne a 12 anni.